Una patologia negletta in passato ma che oggi ha finalmente l’attenzione che merita: la celiachia. Prendiamo spunto da quanto oggi pubblicato da Quotidiano Sanità sul tema, in occasione della pubblicazione dei dati 2019 sulla patologia.
Nel 2019 in Italia il numero di celiaci ha raggiunto i 225.418 soggetti con più di 11.000 diagnosi effettuate nell’anno. Una volta ottenuta la diagnosi, per il celiaco l’unica prescrizione ad oggi scientificamente valida è la dieta: rigorosamente senza glutine.
Ma che cos’è la celiachia? come si definisce? Leggiamo dalla Relazione annuale al Parlamento sulla celiachia – Anno 2019 realizzata dalla Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione (DGISAN) ” La celiachia è un’enteropatia infiammatoria permanente scatenata, in soggetti geneticamente predisposti, dall’ingestione del glutine presente in alcuni cereali (es. grano, spelta, farro, segale, orzo e avena). La proteina più rappresentata nel glutine di frumento è la gliadina.La celiachia è la più conosciuta tra le malattie multifattoriali per il cui sviluppo sono necessari due fattori: uno ambientale, il glutine nella dieta, ed uno genetico, i geni che codificano per le molecole DQ2/8 del sistema HLA espresso sulla membrana delle cellule del si-stema immunitario”.
Proseguiamo con quanto presente nel documento e nel resoconto che ci offre Quotidiano Sanità: ” Dai dati raccolti risulta che in Italia, al 31.12.2019, risiedono 225.418 celiaci di cui 158.107 sono femmine e 67.311 sono maschi. Analizzando l’andamento delle diagnosi nell’ultimo triennio (2017, 2018 e 2019) in Italia la media annuale che si registra delle nuove diagnosi è intorno alle 9.000, anche se, solo nell’ultimo anno, la crescita è stata di 11 mila unità. La regione italiana dove si registrano più celiaci rispetto alla popolazione è la PA di Trento (0,47%), seguita, a pari merito, da Valle D’Aosta e Toscana (0,46%). In numeri assoluti la Regione con più celiaci è la Lombardia (40.317) seguita da Campania (22.320) e Lazio (22.157)” come nel grafico 1 che riportiamo.
“Dal 2017, con la revisione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), la celiachia e la dermatite erpetiforme rientrano tra le malattie croniche invalidanti. Per i soggetti affetti da tali patologie è previsto il regime di esenzione per le prestazioni sanitarie successive alla diagnosi ed un supporto economico all’acquisto degli alimenti senza glutine di base (es. pane, pasta, biscotti, pizza, cereali per la prima colazione e alimenti similari). Una volta ottenuta la diagnosi, il celiaco deve seguire per tutta la vita una dieta senza glutine varia ed equilibrata con un apporto energetico giornaliero da carboidrati almeno del 55%. Tale apporto deve provenire per il 20 % da alimenti naturalmente senza glutine (es. alimenti a base di riso, mais, patate ecc) e per il restante 35% da alimenti senza glutine specificamente formulati. Per supportare il celiaco nell’acquisto dei prodotti senza glutine specificamente formulati, il SSN garantisce un contributo economico mensile, diverso a seconda dell’età e del sesso del soggetto, perché tiene conto dei corrispondenti fabbisogni energetici”. La Relazione Annuale tocca poi numerosi altri punti di interesse, quali la revisione dei tetti di spesa per i LEA, aggiornati nel 2018.
A margine del “pianeta celiachia” è importante rammentare che, se l’universo di chi soffre oggi per la patologia celiaca ha trovato una sua precisa connotazione e regole certe per l’assistenza, esiste una consistente quota di popolazione che soffre di disturbi riconducibili alla gluten sensitivity ovvero alla intolleranza al glutine.
La sensibilità al glutine non celiaca non presenta le tipiche lesioni intestinali, tuttavia anche in tale condizione si riscontra un netto miglioramento del quadro sintomatologico dopo l’eliminazione del glutine, facendo supporre un meccanismo patogenico minimo.
Per entrambe le condizioni l’approccio terapeutico consiste nell’eliminazione del glutine dalla dieta, che deve essere rigoroso in particolare per i soggetti celiaci. Le modifiche dietetiche possono però indurre carenze nutrizionali secondarie ad una alimentazione non bilanciata: pertanto è opportuno uno stretto monitoraggio del profilo nutrizionale.
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